martedì 5 ottobre 2010

Claudio Di Scalzo: Il signor Ponso mi ponza una lezione su Artaud


  
                                                          CDS, "Omaggio ad Andrea Ponso"

 Bozzetto surrealista.  5.X.2010




IL SIGNOR PONSO MI PONZA UNA LEZIONE SU ARTAUD

Oggi, su TELLUS DI VALTELLINA, (post precedente a questo)  in basso, alla striscia dotta sul “Suicidio e altre prose”, che tirava l’elastico ai calzini di Artaud, scritta da Andrea Ponso, ho postato un commento, anzi due, “Il Nichilista commenta sempre due volte”. Ho visto che c’era il mio amico Marco Baldino, e, tanto per stare in compagnia, ho pensato d'inframezzare il ferrato scambio con una partecipata ironia. E Artaud mi sembra che la usasse. Ma sono ignorante e potrei sbagliarmi. Infatti ho preso una laurea a Pisa per combinazione, forse perché ero di Lotta Continua chi lo sa!? A questo punto il professor Andrea Ponso, nato a Noventa Vicentina – credevo fosse emerso dal buio a Cambridge – che insegna all’University of Padua, che ha un Dottorato in lingue e letteratura comparate, un Baccalaureato in Teologia, e Licenza in Sacra Liturgia, mi ha scritto che non avevo capito niente di Artaud e che dovevo rileggermi l’opera di Artaud. Tutta. Accipicchia mi sono detto! Io volevo soltanto scherzare un po’ per allentare la tensione! Così imparo!, mi son detto, a infilarmi con un commento nella nota ponsata. Che trasuda, sarà un'agonia?, conoscenza di Artaud come le sue tasche teologiche! Se poi uno intende “cazzi per fischi”, come si dice a Pisa, son ponzate! Sono veramente dispiaciuto. Quando Ponso che ponza baccalaureato ponsante era ancora uno spermatozoo nello spazio, a Parigi, con gli amici situazionisti e lettristi, nel 1973, leggevamo Artaud e facevamo mostre estemporanee a lui dedicate, probabilmente mi deve essere sfuggito qualcosa. Vedrò di rimediare come posso ma non come ponso! E comunque il quadro bianco lo inventò Malevic.



COMMENTO SCALZATO E  IL  BEN PONSATO



(Claudio Di Scalzo detto Accio) - IL NICHILISTA COMMENTA SEMPRE DUE VOLTE… PRIMO COMMENTO: Se volete bene a Artaud perché non vi date il” piccolo suicidio” di distruggere quanto scrivete e pensate? SECONDO COMMENTO: Di suicidio non si parla si fa. E Artaud in questo caso vi benedice -

(Andrea Ponso) - Claudio: il "piccolo suicidio" si fa dis-crivendo e de-pensando, cioé mediante un'attività incessante dentro la parola e le forme: il quadro bianco, la mancanza d'opera ecc. sono letteralmente cazzate ...oggi... e se la pensi così mi sa che ti dovrai rileggere Artaud (opera monumentale, guarda caso, ancora in corso di pubblicazione, alla faccia del non "scrivere"); sul secondo punto: ribadisco, non hai capito praticamente niente di Artaud (se mai si può "capire" Artaud): il tragico è quell'essere tra, il suicidio sarebbe una resa quanto il quadro bianco, una via di fuga, un "eternizzarsi"; e anche in questo secondo caso si risponde con un FARE, con una pratica in atto... se ci si ferma, tutto (scrittura, significati, ecc.) ritornano in folla e ci colonizzano per bene (in questo mi pare ci sia in Artaud una attualità spaventosa) ritorna e ci invade, ci riempie e ci rende pesantemente uomini del significato, uomini significati (e comunque lo siamo sempre): il vuoto SI FA...

(Claudio Di Scalzo detto Accio) - Ehi ehi professor Ponso… ma così mi ponza troppo! mi fai la lezione… “non hai capito praticamente niente”…”Ti dovrai rileggere Artaud”… calmati! ma non ti sembra di esagerare?… ho capito la metà di quello che scrivi! Ma abbastanza per intendere che sei un pallone gonfiato… accanto al surrealista Artaud che tu hai capito tanto… frequento anche Cravan… che fa pugilato… non so se ti conviene fare il pallone gonfiato… io ci gioco con i palloni gonfiati… come te… intanto allenati bel baccalaureato ponzante! E goditi il disegnino alla Artaud che ti dedico on line! Oggi è la tua giornata fortunata, i miei pennelli si sono interessati di te.


    

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a metà ottobre on line

DIREZIONE

Claudio Di Scalzo 



 

sabato 2 ottobre 2010

Claudio Di Scalzo detto Accio: Bigliettino sulla Sragione da mansarda e cascinale transmoderna. La condizione Transmoderna dell'Olandese Volante (2010)

  






 "La condizione transmoderna" 
è perfetta per L'OLANDESE VOLANTE. 
Per il veliero wagneriano e corsaro anarca... non piccioletta barca!





Claudio Di Scalzo detto Accio


BIGLIETTINO SULLA SRAGIONE

DA MANSARDA DA CASCINALE TRANSMODERNA



C'è in giro dell'ottima merce manualistica filosofica ed altra rancida e marcia
In questo bailamme dove tutti gorgheggiano la loro merce testuale filosofica con accosto poetica, usando anche l'ano!, può tornare utile qualche traccia di Deleuze sulla "sragione". Senza dimenticare che se di sragione si parla deve esserlo davvero, non un confetto per gingillarsi nelle biblioteche foderate di libri, cioè bisogna sragionare con un certo rischio. estremizzare. Dare follia agli emisferi.

Rimanendo al campo della testualità di cui il postmoderno ha sempre più allargato i confini, cosa è Facebook se non un contenitore di testi da tenere in bocca, tra i denti, come fanno cani, a facce? anche scodinzolanti? Io stesso ne tengo ne ho tenuti tra le mandibole.

Allora mi sia concesso, e questo io tento, sragionando, da mesi!, che per trovare altre vie bisogna tornare all'Autore che figlia il personaggio che sia centro della comunicazione artistico-letteraria-filosofica e non solo testo. Basta con le funzioni del testo! Hai visto quanti sono i poeti dei vari editori? Ogni giorno una copertina! Tutti testi. Dove sono gli autori capaci di creare personaggi?

L'Autore che genera-partorisce-cresce personaggio... non è soltanto significazione artistica, o macchina testuale, è sangue, nervi, artigianato dei sensi, in una parola biografia. Singolarità. Il personaggio figliato poi sis cambia l'ombra con l'autore. bascullano. Corpo-estetica-ombra


 Io non sono un poeta o uno scrittore, io voglio essere un uomo che narra quanto nomina con la sua esistenza, con accosto personaggi.

Dall'amore, alle rughe, alla morte. A volte si diventa Autori con personaggio anche cessando di scrivere per pensare e basta o guardare. E intanto l'uovo ci cova. L'opera ci cova. Essa, e solo essa, può dare risposte. Il resto è "sciocchezzaio", (Flaubert) e siccome le forze possono essere poche, più Autori incinta di personaggi, è l'auspicio per OLANDESE VOLANTE, possono covare insieme le proprie sragioni e inventare quanto manca. 

Se non funziona? Luci spente  e tutti a nanna sotto lapidi smunte. Slavate. Illeggibili! Morti prima di morire per davvero! 

Dalla mia mansarda alpina,... che a volte è la più gelida tana del bosco; dal cascinale sul mare di Vecchiano, che a volte è la più cupa delle bettole in un porto immobile!, 

Accio nel sabato saluta...




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Cds detto Accio















 

venerdì 1 ottobre 2010

Accio e il Pazzo. In difesa degli Zeppelin contro i Pooh.





IN DIFESA DEGLI ZEPPELIN CONTRO I POOH


Sì, ci sono due sentieri che puoi percorrere, ma alla lunga
C’è sempre tempo per cambiare la strada che hai intrapreso
E mentre scendiamo per la strada
Le nostre ombre sono più alte delle nostre anime
Là cammina una donna e tutti noi la conosciamo
Che brilla di luce bianca e vuole dimostrare
Che tutto si strasforma in oro
E se tu ascolti con molta attenzione
Alla fine la melodia giungerà a te
Quando tutto è uno e uno è tutto
Essere una pietra e non rotolare

(...)

Accio diglielo anche te che noi non possiamo a questo punto portarle a cena, hai sentito cosa hanno detto? No! niente scuse. Non fate le ruffiane, voi avete detto che vi piacciono i POOH e che bisognerebbe ascoltare la musica italiana! Ma secondo voi io posso andare a ballare con due così, diglielo tu Accio, questa serata non può funzionare, volete capire cosa dice? in italiano? Accio, traducela tu che hai studiato inglese!, non fai lingue?, ma cosa vuol dire! uno che fa inglese a scuola dovrebbe saper tradurre Stairway to Heaven, ma allora non sai una sega di nulla anche te! io insomma a cena non ci vengo e nemmeno al Saint Louis! Vi lascio la macchina andate voi, Accio non star lì a pacificare,… nessuno può dire queste cose degli Zeppelin sulla mia macchina… sì, son matto, ma l’onore del rock è onore!

Due giorni dopo ci ripresentammo da Michela ed Emilia, al Forte, con tutti e quattro gli LP degli Zeppelin… per scusarci. Scuse accettate. E andammo al mare! E col mangianastri,... anche su cassetta il IV degli Zeppelin il Pazzo regalò alle ragazze!; sulla sabbia calato il sole, sdraiati e abbracciati, mentre Plant cantava la canzone d'amore più bella della storia del rock, interpretavamo il nostro vitalismo. Nella serata del litigio "in difesa degli Zeppelin" le avevamo riaccompagnate a casa, io malvolentieri, Emilia mi garbava. Da soli. Neri dal nervoso. Eravamo andati da una sala all’altra scendendo verso Viareggio. E bevevamo. Io guidavo il maggiolone di Paolo. Lui era senza patente perché gliela avevano tolta.  In un incidente aveva sfatto la macchina, si era fratturato mezzo e il conducente dell’altra auto ci aveva rimesso la vita. Un disastro. Il Pazzo non avrebbe mai superato il senso di colpa. Raggiungemmo Migliarino Pisano. Passammo dal viale. Poi io non ce la facevo più, mi si chiudevano gli occhi. Allora fermati Accio, porcamiseria ci ammazziamo. Ma qui è pieno di puttane. E allora non si può dormire dove ci sono le puttane? E se ci rompano le palle i magnaccia? Ho la doppietta sotto al sedile, domani l'altro vado a caccia. Allora siamo al sicuro, Pazzo. Più che al sicuro Accio. Butta giù il sedile e facciamo una dormitella e poi si riparte. Altro che dormitella. Alle sette ci bussarono ai vetri quelli della nettezza urbana. Del Comune di Vecchiano. Li conoscevamo. E dovevano spostare i cassonetti. Scuotevano la testa. E ci prendevano in giro. I grandi casanova vanno a puttane?

- Senti Paolo è meglio se torniamo da Emilia e Michela. Poi Emilia mi piace…
- Giusto! Ma prima andiamo nel negozio a prendere i dischi degli Zeppelin… passi che votano DC
   ma perlomeno nel Rock ci devono dar ragione!

Era il 1972 o 1973 ora non ricordo. Lotta Continia sezione distaccata bella vita, avevano detto gli operai della N.U. E avevano ragione. Era bella vita. E mi viene in mente in questa serata alpina. Nessun libro, nessun scritto, varrà mai una serata come quella, nel prima mattoide della difesa di un gruppo rock  con la dormita sul viale delle puttane! e dopo sulla spiaggia musicata dalla voce di Plant. Grazie amico mio! ovunque tu sia, caro Pazzo, in questo momento. Tuo Accio


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LED ZEPPELIN
Stairway to Heaven





venerdì 9 luglio 2010

Claudio Di Scalzo detto Accio: Da Tellus numero 30 - (2010)








In questa estate 2010, a mia cura, proporrò on line, il meglio del Tellus annuario, dal numero 23/24 al numero 30. (La rivista-annuario a direzione Claudio Di Scalzo è cessata con il numero 30) Il meglio di Tellus Annuario Illustrato confluirà nella rivista on line che sto progettando: L'OLANDESE VOLANTE e sui weblog: Tutti i figli di Tellus.

              


Introduzione in forma di alfabeto
alla Fondazione della rivista TELLUS



A



Prendere la parola significa tirare fuori la testa dalla lastra di silenzioso ghiaccio che ricopre Il Provinciale. Il foglio e bucato. Questo l’incipit.



B



Le nostre parole, un tempo mute, si insinuano nelle faglie di altri discorsi. Sommuovono. Scivolano. Formano intercapedini. Eruttano. La rivista sta germinando. Afferma il Fondatore.



C



Il Provinciale, leggendo e rileggendo i lacustri tremori di queste parole, il loro malfermo passo sulla carta, le concatenazioni inconsuete, accoglie il nome della rivista, Tellus, come il frutto acerbo che cade nel tempo novecentesco del ferro e del fuoco, il dizionario sepolto in lui da offrire alla Storia.


D


Ripensi al passato. Osservi il campanile del tuo paese che stasera toccherà la luna.



E


Questa rivista sara anche l’elaborazione del mio sistema nervoso, pensa il Fondatore. Lo mischierò con quello del Provinciale vecchianese.

F


Chi scrive sulla rivista Tellus e chi la legge formerà il Poema degli intanati. Coloro che nascono per vivere nascosti in una terra, invisibili, avranno finalmente un sistema circolatorio che presuppone la nascita di una lingua.



G

“Era per perdersi affatto; ma atterrito, più che d’ogni altra cosa, dal suo terrore, richiamo al cuore gli antichi spiriti, e gli comando che reggesse”. Manzoni nel capitolo XVII da una mano alla Fondazione della rivista disegnando la frontiera come spazio cucito fra identità psicologiche e naturali diverse. Renzo in fuga verso Milano raggiunge l’Adda che allora era la frontiera tra i domini spagnoli e la Terra di San Marco. Renzo sulla frontiera conquista la propria identità: l’Adda e una soglia fluida da varcare ma anche concreta demarcazione tra due sistemi sociali diversi. Oltre c’e la solitudine individuale addipanata sulla scelta se essere nomade o emigrante o frontaliero.

H


Il passato, e tu mi chiedi sempre, come usiamo il passato?, lo piego con l’ambizione suprema di torcerne anche le trame dei discorsi che lo sorressero. Di farlo guaire nelle palustri verità creaturali che galleggiano sul tetto della mia dimora: ed e necessario, credimi: indica a chi scrive sulla rivista, lo senti ora?, la numerazione dei fascicoli che usciranno. 1, 2, 3… con lo statuto leggiadro delle nuvole che lasciano il segno sulla cera del cervello.

I


La memoria storica, inquinata da fotografie sugli usi e costumi pubblicate infinite volte, boccheggiava la voglia di un falò bruciante i negativi.

J


Sono una pozzanghera. Esisto dopo lo scroscio. Specchio terrestre per chi incontrandomi vuole scoprirsi intorbidito, recita enfatico l’Homo Selvadego.

K


Siccome noi il radicamento non sappiamo cosa sia dato che nella Parola non siamo mai stati a nostro agio, suggerisce il Fondatore della rivista, lo sradicamento ci consegna alla fruttifera condizione di stare fra le fauci della natura, proprio quando essa e divorata dalla città, dall’umano che la cancella. Ma ingoiati o sputati per noi e lo stesso. Sia chi ci ingoia sia chi ci sputa lo può fare dandoci, ora, la parola.

L


Al Provinciale l’ansia di passato dava un ritmo calzante strappi al suo batticuore. Il mito della sua individualità selvatica si dibatteva nel sangue in moto verso l’omologazione planetaria del risveglio con i Frosties cereali sul comodino.

M


Il sentimento del passato figlia diari e un’epica da posare sulla sedia impagliata e da usare come guanciale per le insonnie dettate dal Moderno. Il graduale inurbamento dei valtellinesi lo potrebbero raccontare i nonni del Fondatore. Peccato siano morti, altrimenti in dialetto descriverebbero anche gli spazi per le volpi fra i cespugli. Ricordi come rotolavano le castagne nei villaggi sopra Albaredo? – chiede il Fondatore a un redattore valligiano mentre passeggiano. Se poi mi dici che l’esistenza di un valtellinese nel primo Novecento era più sepolta di un dente di gatta nell’erba alta, sono d’accordo, cosa posso aggiungere?

N


Estate 1987. A valle scivolano polle nere di fango… tienimi con te, Fondatore della rivista… proteggimi dalle pietre… fra poco sara l’autunno… avrò il cuore sonoro. Dice angustiata una valligiana.
Fra Morbegno e Sondrio, raccontano a San Cassiano Valchiavenna, e successa una grande tragedia. Basta accendere la televisione per vedere l’inimmaginabile.
Acque e acque per sentieri e tratturi e strade…
Sassi sulla testa… sassi sul collo. Quasi affogo.
Ricordohi… ricordahi…cosa sara mai?!?… porto oscurità sul corpo che tu, Fondatore della Rivista, mi dai!

O

I numeri della rivista Tellus – dieci – saranno per i lettori la totalità e il compimento dell’essere provinciale. Il ritorno all’unità dopo la dispersione.
Dieci fortini contro la modernità che espelle il divino rendendo le vie verso la salvezza tutte ugualmente intrise dei deliri del politeismo officiato nelle università.

P

P come Provincia. Guarda e scruta queste terre provinciali. Queste pietre lisce come i palmi delle mani. Esse ospiteranno le domande fondanti il lessico per abitare senza restare curvi sotto la cecità del moderno: Appartenenza, Spaesamento, Particolarismo, Urbanizzazione.

Q

Il lusinghiero piacere di pensare per azzardo e devozione agiterà le pagine della rivista, dice il Fondatore. Tellus diventerà la spugna di pensatori dimenticati, dei loro fiati, della loro polpa teorica, pero mai li nomineremo, perché io, il Fondatore, tutti li riassumo e li torco alle mie circonvoluzioni mentali e corporali. Sono le budella ripiene dell’Occidente.

R

I numeri della rivista, come i nomadi in cerca dell’oasi, procedono fino allo sfinimento. In gioco c’e la salvezza. Cumuli di rosse macerie si portano dietro. Le loro lacrime provinciali sono di quelle che spazzano il cuore come la tempesta fa con i canali di scolo.

S

La Valchiavenna e la Valle del Serchio si terranno a braccetto nella danza poetico-filosofica. Saranno il coriandolo colorato-scolorante nella geografia di un’Europa dove i pensieri totali muoiono come un re dopo lunga agonia: e nei cortili, ce n’è uno per ogni capitale-metropoli-museo: i popoli non sanno a cosa ribellarsi.

T

Il Fondatore della rivista confida che Tellus sia una bandierina ficcata sulla sommità della catastrofe. Quante briciole di teorie e poemi e cinema ha attorno? Il suo alito descrittivo-artistico-filosofico sarà la parola sul vassoio dell’essere, offerto come il servo fa sul trono vuoto della razionalità occidentale. Intanto succhia le radici perse dell’identità provinciale masticando a vuoto. Avevo fame, dice, sono solo, avrò davanti la morte delle certezze, e il mio pensiero, se permettete, lo getto nel grembo di questa mia condizione pur sempre terrestre.

U

Se canti o descrivi o interpreti il volto del tuo vicino provinciale, canterai o descriverai o interpreterai l’universo.

V

Come si appartiene a una terra?, si chiede il Fondatore della rivista. O, detto meglio, quali parti di me prendono le due valli. L’interrogativo ballava sulla fronte del Fondatore nelle ore notturne. La ferita che ne ricavo era tutta la sua filosofia da leggere al risveglio. Irresponsabilità dell’illusoria speranza di raggiungere la sfera aerea della quiete, dell’appartenenza.

W

Qual e la parte del mio corpo che si coniuga con le terre che abitai-abito?, si chiese con frenesia sventata, e forse ingenua, il Provinciale. Le domande fondamentali rendono il capo dipinto. Cromatico di incertezze. Ogni forma del vissuto esce negli spazi dell’inconsistenza. Passi nel varco fra l’esistere e il non esistere della parola. In fin dei conti e un girotondo. La Piana del Serchio e la vista, l’adolescenza della figura del Moschettiere, occhi timidi davanti alla nudità del mondo. La Valchiavenna e la palpebra della maturità che vela, riposa dall’accecamento, che impone la memoria. Gli organi di questa filosofia provinciale abbisognano di altro, ma di cosa?

X

Nel suo organo della vista, il Fondatore, mise il collirio della parola Tradizione. Gli altri sono la mia tradizione, sono in me, anche se distanti da me per esperienze e vissuto. Sono in me e li scopro in questa terra di provincia. Terre che mi fanno capire quanto mi appartengano se non rinuncio a criticarne le esperienze e a scambiarmi con loro. Essi sono la mia biografia e insieme a loro costituisco la biografia di questa mia provincia del pensiero e dell’azione.

Y

L’anarchismo mentale del Fondatore della rivista suggerirà come sfuggire al dominio organico dello Stato, come ricavare nicchie nel grasso bronzo nazionale, come crescere un tamburo filosofico che rompa la sinfonia dei sistemi, e chi avraàil coraggio del Capitano di ventura di sé stesso, potrà predare versi per una poesia metafisica.

Z

La rivista Tellus e una redazione vasta di vite semplici ed eccellenti, immaginarie e reali, che come arcobaleni medieranno tra acqua e aria gli elementi della conoscenza provinciale. E le leggi della sua fascicolazione saranno i miei sensi e le mie illusioni.


 

domenica 9 maggio 2010

Claudio Di Scalzo: 1889. Il primo dell’anno in Engadina di Giovanni Segantini

  


                                                             Giovanni Segantini: Autoritratto


Breve biografia di Giovanni Segantini, pittore inesausto della montagna e uomo che muore sul crinale di un atteso Novecento. Nacque ad Arco, nel 1858, minuscolo paese vicino a Trento, che descritto nel Diario diventa quasi una variante melodica della sua infanzia divisa fra la guardia ai porci e alcuni giochi al limite dell’avventuroso tormento. Abbandonato dal padre partito per terre lontane ne segue, o meglio ne calca, il destino andando ramingo per la Svizzera e per la Francia. Mendicante senza risorsa alcuna né sostentamento viene rinchiuso “per miseria” il 9 dicembre 1870 nella Casa di Patronato per ragazzi abbandonati, in Milano, e convinto a imparare il mestiere di ciabattino. Esce nel 1873. Per misteriosa alchimia che spinge spesso a inusitate metamorfosi chi subisce il reale attraverso la sofferenza senza dimenticarne gli incanti, diventa pittore iscrivendosi all’Accademia Milanese di Belle Arti. Risente dell’influsso di Tranquillo Cremona ma ben presto adotta, in una scommessa lacerante con se stesso, il principio della divisione dei colori inventata da Seurat. La sua originalità si manifesta già con i quadri  Ave Maria (1883) e La tosatura del 1884. Lascia Milano. La città gli sembra una fabbrica di agonie. Soggiorna in varie località della Brianza come Pusiano e la rappresentazione della natura assume un tono imtimistico e sovente lirico. La svolta avviene trasferendosi a Savognino. Prima aveva tentato di portare il suo atelier a Livigno ma i paesani lo cacciano in malo modo intimiditi dalla sua lunga barba. Nel 1894 si sposta sul Maloja vicino al lago di Sils. Qui riceve la visita del poeta Giovanni Bertacchi. Spesso il pittore recita al figlio, che gli fa da aiutante, il Canzoniere delle Alpi del segaligno amico chiavennasco. La sua pittura diventa allegorica con un che di lustrale e segue la tecnica di disporre lunghe striature di colore puro in modo che una fusione, quasi un miracolo dice, avvenga nella retina dell’osservatore. Cerca la luce nel colore e sicuramente la dimensione del divino nel calendario terrestre che coinvolge uomini e animali. La sua ultima opera, preparata per l’Esposizione Universale di Parigi, da tenersi nel 1900, il Trittico della Natura, rimane incompiuto. Muore di peritonite sopra Pontresina, sullo Shafberg, a 2700 metri di altezza, il 28 settembre 1899. A portarlo a valle sarà una slitta trainata da un cavallo. Nel dipinto del Trittico, dedicato a La Morte, compare un cavallo attaccato a una slitta in attesa della bara. Se il pittore dipinse lo scenario per la sua fine la nuvola che compare sopra la salma sembra un fiducioso saluto rivolto all’eternità. Claudio Di Scalzo discalzo@alice.it  



                                          IL PRIMO DELL’ANNO DI GIOVANNI SEGANTINI


1 gennaio 1889, Savognino
Mattino. Il primo giorno dell’anno è, dunque, oggi; credo che quest’anno porterà un gran cambiamento nella mia vita artistica; speriamo sia in bene. Aprendo la finestra il sole entrò involgendomi nella sua calda luce dorata, e tutto m’abbracciò; socchiusi gli occhi inebriato dal suo bacio di vita, e sentii che la vita è pur bella, e mi discese nel cuore la gioventù e la speranza dei miei vent’anni. Il cielo è azzurro e profondo, la vallata è inondata dal sole, i campi dia vena tagliata luccicano al sole come pagliuzze d’oro; c’è nell’aria qualche cosa di festante. Pensare che ci troviamo a 1200 metri sopra il livello del mare!
Il godimento della vita sta nel saper amare; nel fondo d’ogni opera buona c’è l’amore.



1 gennaio 1890, Savognino
Mattino. Torno da una passeggiata. Sento nel cuore la mia calma abituale e nel cervello come uno sbalordimento che è effetto del vento. Intorno, tutto è triste, il cielo è grigio, sporco e basso, soffia un vento di levante che geme come lontana bestia che muore, la neve si stende pesante e malinconica come lenzuolo che copra la morte, i corvi stanno tutti vicino alle case, tutto è fango, la neve sgela. questa giornata me ne ricorda molte altre che passai nella mia fanciullezza; mi sento ancora l’eguale e provo le eguali sensazioni.


                                                      (Dal “Diario” di Giovanni Segantini)